Rassegna Stampa
ALLA BARCOLANA CON "CELESTE" IL SOGNA SI AVVERA…………
"VOLTATI, guarda quante sono dietro". Le grida di Mario alla ruota mi distraggono da quel fiocco che mi sforzo di tenere a segno sotto le raffiche che arrivano a 32 nodi. Mi giro e in quel momento fotografo un'immagine che credo porterò a lungo con me. Dietro di noi c'é un "muro" di vele. Più di mille, quasi duemila imbarcazioni che filano nella nostra stessa direzione e sembrano voler venirci a prendere come fanno i cani nella caccia alla volpe. Noi, in questo caso la volpe, eravamo partiti come meglio non potevamo. Meglio di ogni più rosea previsione, dalla parte della boa di sottovento, vicino al rimorchiatore della Capitaneria, dove avevamo visto passare il "maxi" dell'Esercito di Cino Ricci e ancora prima la mitica Alfa Romeo. Ci siamo buttati lì, con tutto l'entusiasmo, il coraggio, il vento e l'ingenuità che ci avevano fatto salpare da Pescara malgrado gli avvisi di burrasca, e portato a Trieste dopo trentasei ore di navigazione tormentata dal mare e da qualche malore a bordo.
L'obiettivo è lei, la Barcolana, un sogno che cullavamo da tempo e che solo con l'arrivo di "Celeste" potevamo realizzare. "Celeste" (anzi, all'anagrafe "Celeste due") è un Este 39 ben attrezzato che in sei (con me e Mario, Stefano, Paolo, Maurizio e Cosimo) abbiamo caricato di pacchi di vele e finito di riempire con pasta, olio, sughi pronti De Cecco, un vassoio di polpette e anche un po' di porchetta.
Vento sempre di prua e mare forza 5, la nostra "capo Horn" è stata il Conero da dove abbiamo virato verso il largo e fatto subito rotta su Trieste. Turni di quattro ore, molto motore e poco genoa, quasi nessun incrocio. Proprio quando il mare sembrava si fosse calmato, il frangente di un'onda supera il mascone di dritta e travolge il pozzetto. La prendiamo a ridere, e la porchetta e il vino rosso di mezzanotte ci tirano su con la prospettiva che all'alba ci sarà il sole. E' così. Con i primi raggi scorgiamo la Slovenia e poi l'Istria. Incrociamo, finalmente, le imbarcazioni a vela e la prima è uno strano trimarano croato, spinto da un fuoribordo, realizzato con il troncone della carlinga di un aereo.
L'euforia, sentire che eravamo riusciti a realizzare almeno la prima parte della nostra avventura, coprono le ultime miglia di bonaccia fino all'avvistamento di Trieste. Lì ci aspettano le altre; sette imbarcazioni partite sempre da Pescara tutte del Circolo velico La Scuffia, come noi ma tre notti prima e che avevano spezzato la traversata in Slovenia. Si erano affilate lungo la banchina principale, quasi di fronte all'hotel Excelsior, e un posticino erano riuscite a conservarlo. Un brindisi all'approdo e poi via, ci tocca subito cambiare le vele, entrare nel clima della manifestazione e della regata.
Sotto la banchina ci sentiamo osservati. Un fiume di gente passa, ci guarda, indica, commenta e riprende la sua lenta passeggiata. Trieste, la sua Barcolana, ci conquistano. E per arricchire un'atmosfera già frizzante, la flottiglia della Scuffia di Pescara organizza anche un'estemporanea cucina all'aperto con spiedini alla brace, vino Montepulciano, formaggio pecorino e olio. Tutti prodotti abruzzesi che vanno a ruba, fanno scambiare qualche parola e stringere amicizie sia a bordo, sia a terra. All'ormeggio ci raggiungono anche Emanuele e Antonio, gli ultimi due componenti del nostro equipaggio, che portano da Pescara anche un pezzo di ricambio del timone automatico.
Il giorno della regata arriva presto. La Bora subito forte ci fa smaltire in fretta la parte fin qui "godereccia".
"Celeste" salpa alle 9,30. C'è tensione, ma anche grande attesa e concentrazione. Eppure fare bene non era il nostro obiettivo primario. "Primo, salviamo gambe e dita; secondo, pensiamo alla barca; terzo, divertiamoci: e se arriva anche una buona posizione, tanto di guadagnato", ripetiamo ad alta voce mentre mettiamo mano alle drizze.
Non fa niente se la partenza, a causa del vento, viene rimandata. Noi siamo lì, giriamo con gli altri e indichiamo barche e nomi noti, già visti e ammirati su qualche rivista nautica. Proviamo a mettere su la tattica, ma alla fine la conclusione è sempre quella: tu vai dove puntano i "maxi", così non ci sbagliamo.
E adesso siamo qui a fare "la volpe". Davanti a noi ci sono più o meno solo cinquanta vele, teniamo il passo, decidiamo di alzare lo spi. Anzi no, meglio di no. Appena vediamo che fine fanno quelli che vengono tirati su dagli altri attorno a noi, ci rinunciamo subito. Via così, che va bene: arriviamo a 10 nodi di poppa e non ci pare vero.
"Celeste" malgrado tutto il suo carico avanza e si fa largo fra i quaranta e cinquanta piedi, svuotati e ridotti talvolta a gusci per l'occasione. La prima boa si avvicina. E le distanze cominciano ad accorciarsi. Eccolo il secondo rischio. Dobbiamo strambare sulla boa, sottovento c'è soltanto un'altra imbarcazione; a sinistra, sopravvento, invece, ce ne sono a iosa. Trenta, venti, dieci metri. Pensiamo di tirare fuori i parabordi, come fa qualcuno, intanto tiriamo via le gambe e gridiamo: "Acqua". La prua va sparata su una barca croata che ha già strambato. C'è un "mucchio" incredibile, si sentono urla, e il vento continua a fischiare. Ancora cinque, quattro, tre metri: "Strambo!!", abbatte anche l'imbarcazione sotto a noi e via, la prua di Celeste si sposta anche lei velocemente mentre a sinistra si sente il "botto" tra due fiancate e le urla degli equipaggi.
Il secondo bordo è meno veloce, ma lo spettacolo resta entusiasmante. Qualcuno rimonta, qualcun altro, invece, si trova davanti le imbarcazioni del primo bordo. L'adrenalina è sempre a mille fino a quando in vista della costa e della seconda boa, la Bora, la tanto famigerata Bora, si spegne all'improvviso e le vele si sgonfiano.
Siamo tutti lì, stavolta a guardarci negli occhi, per trovare una risposta su che cosa fare. Piano, piano si avanza, e il "mucchio" si riforma. Abbiamo un bel genoa leggerissimo sotto in cabina. Potremmo tirarlo su, ma se poi il vento si rialza? Ci risiamo: aspettiamo gli altri. Non scorgiamo indicazioni precise, la boa nel frattempo si avvicina e l'importante, ci ricordiamo, è salvare gambe e barca. Ok, lentamente, manco fossimo su un campo minato, ci muoviamo fra gli altri scegliendo poi di virare e puntare a dritta, allontanandoci dalla costa. D'altra parte siamo sempre fra i primi cento e l'importante ed esserci e tirarsi fuori da quell'area ingolfata e di bonaccia.
Il fiocco leggero resta sotto anche perché la Bora si rifà viva. Un refolo, un soffio, e quindi una spinta più costante fino a salire di nuovo a 27-30 nodi, stavolta tutta di bolina stretta. "Celeste" torna a respirare insieme ad altre imbarcazioni che hanno scelto il lato di dritta. Dall'altra parte, però, vediamo che va meglio. I nostri riferimenti saltano, o meglio vanno avanti, perché sottocosta la Bora è arrivata prima e con maggiore forza. E poi noi abbiamo un altro bordo da fare perché verso gli scogli c'è il cancello attraverso il quale dobbiamo passare in vista dell'arrivo. Stringi, stringi le vele; orza, fai prua; "tutti fuori", Assetto!!". Ce la mettiamo tutta, come il ciclista che si alza sui pedali per dare l'ultimo colpo di reni sul traguardo, ma il più è fatto. Va bene così, "Celeste" è andata benissimo, qualsiasi sia il risultato. E non ci pare vero di trovare il porto vuoto quando rientriamo. Vuoi vedere che...? Sì, le vele, sono quasi tutti lì fuori. Alcune lungo il secondo bordo, altre in piena bonaccia. Ma non è questo che ci fa stappare la bottiglia che tenevamo in cambusa. Sono due anziani, di Trieste, che ci guardano dalla banchina a farci comprendere bene a che cosa abbiamo partecipato. Sono capitani di lungo corso, ci raccontano con malinconia di quando loro hanno navigato per vent'anni, di quanto la Barcolana fosse nei loro cuori e nei loro ricordi. "Voi siete giovani e avete una bella barca, chissà quante potete farne ancora...", aggiungono. Lo dicono sorridendo perché capiamo che in qualche modo la nostra euforia, il nostro racconto li hanno già contagiati. A bordo, tutti a bordo, perché c'è la foto di rito che lo reclama. Un brindisi, i bicchieri alti a "Celeste". E alla sua ciurma che ha coronato il sogno-Barcolana.
Andrea Mori
DA: IL PARLATO n. 9
Rivista Trimestrale dei Circoli
della Gente del Mare Adriatico